La pneumocistosi polmonare (PCP) è una malattia potenzialmente letale che può manifestarsi nei cani e, sebbene i casi registrati siano abbastanza rari, certe razze canine come il Cavalier King Charles Spaniel e il Dachshund sarebbero maggiormente predisposte a sviluppare l’infezione. È questa l’ipotesi avanzata da ricercatori del Laboratorio di parassitologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in collaborazione con centri di ricerca australiani, che hanno sviluppato un protocollo per la diagnosi molecolare della PCP canina. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Medical Mycology.
Proprio come nell’uomo, anche nel cane l’infezione si manifesta maggiormente in soggetti immunocompromessi, spesso affetti da patologie respiratorie croniche. Tuttavia, la diagnosi di PCP è resa complicata dal fatto che Pneumocystis canis (Pneumocystis carinii f.sp.’canis’), è un fungo che non cresce su nessun terreno di coltura in vitro. Rappresenta una specie fungina opportunista, che può colonizzare i polmoni di animali che non mostrano nessun segno di patologia polmonare ( in questo caso si parla di portatori asintomatici) ma che, in soggetti debilitati, può scatenare un’infezione opportunistica, fatale se non curata.
I ricercatori sono partiti dal protocollo diagnostico utilizzato in medicina umana e ne hanno ridisegnato lo schema biomolecolare adattandolo al caso in questione. Dapprima è stato caratterizzato geneticamente il DNA del patogeno estratto da tessuto polmonare di cani deceduti per pneumocistosi. Le successive analisi filogenetiche hanno confermato che P. canis è specificamente associato al cane ed è diverso dal Pneumocystis isolato dagli altri animali, compreso l’uomo. I ricercatori hanno quindi messo a punto una metodica molecolare che permette di evidenziare Pneumocystis anche in soggetti asintomatici, in modo da poter formulare una diagnosi più completa nel contesto delle patologie respiratorie del cane.
L’interesse della comunità medico-scientifica verso la PCP è relativamente recente, quando salì alla ribalta negli anni ’80 in occasione dei primi casi di Aids negli Stati Uniti. Il microorganismo fu inizialmente classificato come protozoo parassita e successivamente “spostato” nel regno dei funghi, grazie all’evoluzione delle tecniche di caratterizzazione genetica e allo studio della composizione cellulare. Comprendere meglio i meccanismi genetici e molecolari di questo patogeno potrà servire in futuro a definire uno schema diagnostico più efficace per questa malattia importante ancorché rara.
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