Il titolo riprende un interessante filmato dell’Istituto luce che risale agli anni ’60, quando i gatti di razza erano ben più rari di adesso. Clicca sull’immagine per visualizzarlo sul sito web dell’Istituto Luce.
Essere un gatto di razza è una fortuna?
Questo vecchio video, senza voler fare un’analisi etologica approfondita, mette a confronto due realtà che oggi sono sempre più distanti. I gatti “ricchi” sono finiti in gabbia, destinati a passare la vita dietro le sbarre, mostra dopo mostra, dice il commentatore. Che sensazioni suscita, invece, vedere i “gattacci” abbandonati, brutti, spelacchiati, pieni di pulci ma liberi, evidentemente orgogliosi di esserlo? È un po’ come vedere i leoni nella savana: viene spontaneo dire che sono al loro posto, stanno facendo la vita per cui sono nati.
I gatti di razza, anche se non partecipano a mostre ed esposizioni ma vivono la quotidianità domestica, spesso conducono esistenze più controllate e meno indipendenti dei loro cugini poveri. Si teme possano essere rubati, si teme per la loro salute, spesso con giustificati motivi, illustrati nella seconda parte del post, che pubblicheremo prossimamente. Talvolta oggettivamente questi mici di alto lignaggio non sono completamente autonomi. Nobili e meno nobili, comunque, il video dell’istituto Luce ci fa capire quanto sia cambiato il nostro ambiente nell’arco di pochi decenni e illustra una realtà che rischia di scomparire, quella dei gatti liberi.
I gatti in appartamento
I gatti di proprietà, di razza o no, sono sempre più spesso rinchiusi in appartamento, soli per molte ore al giorno, senza nulla da fare. L’arricchimento ambientale, pur necessario, non può sostituire l’imprevedibilità e gli stimoli dell’ambiente esterno. Talvolta si opta per adottare un secondo gatto, pensando di offrire compagnia e interazioni al micio di casa, ma non sempre le cose funzionano: talvolta si rischia di far convivere due solitudini, per di più riducendo lo spazio a disposizione.
Anche la nostra relazione con i felini è molto cambiata: prendersi cura di un gatto, oggi, viene spesso interpretato come un totale controllo sulla sua vita. Ci sono evidenze, pur amorose, commoventi e piene di dedizione, di questo cambiamento. Vediamo il gatto un po’ come un bambino piccolo, completamente dipendente da noi, un essere che non crescerà mai: il gatto non sarà mai “maggiorenne”, cioè indipendente e autosufficiente, avrà bisogno di noi per cibo, acqua, e addirittura per fare esercizio! Quest’ultima è un’aberrazione causata dalla vita a cui lo costringiamo, visto che il gatto avrebbe molto da insegnarci in termini di agilità e prestazioni atletiche.
Dovremmo ricordare che ci relazioniamo con un individuo di un’altra specie che diventa adulto, che per sua natura è indipendente e ama affrontare le sfide quotidiane in autonomia.
Il gatto non contesterà mai le nostre idee e decisioni? Non è del tutto vero: ci sono soggetti che scelgono di cambiare famiglia, se ne hanno la possibilità; che protestano per le nostre manifestazioni di affetto quando le giudicano troppo invadenti; che fuggono o si ribellano davanti a certe nostre azioni; che perdono la fiducia in noi.
Poi c’è chi la vede con ironia, talvolta esagerando un po’, ma cogliendo alcuni aspetti con lo stile di chi li conosce davvero:
- sono bellissimi, così belli che a guardarli fanno quasi male… (hanno forme perfette, perché modificarle con la selezione artificiale, aggiungo io?)
- sono pigri e rilassano, rilassano e tolgono ogni dolore – proprio come il tramadolo, un po’ proibiti, appunto, perché quasi oppiacei
- profumano delle tue cose, del tuo maglione, delle braccia di tua moglie, della pelle di tuo figlio, della tua anima. E delle tue interiora, quando fanno quelle cacche puzzosissime in mezzo a nuvole di sabbia
- quando sono a caccia tremano dalla mandibola alle unghie, e non riesce a distrarli dall’obiettivo neanche il terremoto
- conoscono il senso dell’amare: non possedere e non esser posseduti